La storia e la maschera

LA STORIA DEL CARNEVALE
Il Carnevale Storico Persicetano appartiene a quella categoria di Carnevali urbani o cittadini che, tra fine Ottocento e inizio Novecento, vede il riscatto dei piccoli borghi nei confronti delle grandi città. Mentre gli efferati e ingombranti eccessi carnevaleschi, che per secoli avevano incendiato le piazze dei grossi centri urbani, decadono inesorabilmente fino a morire – poiché incompatibili con la nuova sensibilità postrisorgimentale – alle porte del XX secolo il Carnevale resuscita nelle zone di provincia. La piccola borghesia ne fa una festa più morigerata, in cui celebra il proprio buon vivere organizzando veglioni danzanti e raffinati corsi mascherati. Nel 1874, sotto la guida della Società del Bertoldo, i festeggiamenti che fino all’anno precedente si erano svolti in maniera estemporanea acquisiscono organicità, e le sfilate di carri allegorici diventano progressivamente sempre più centrali nella manifestazione. Col passare del tempo la complessità degli artefatti aumenta: la Persiceto dell’epoca è infatti un crogiolo di maestranze tecniche e meccaniche, fiore all’occhiello di una nascente industria manifatturiera che le vale l’appellativo di piccola Manchester dell’Emilia. Arte e artigianato del territorio, coniugati con le nuove capacità tecnologiche della modernità, si immergono nel brodo primordiale della millenaria civiltà contadina, e ciò che ne esce prende il nome di Spillo.

LA MASCHERA DI RE BERTOLDO
Sovrano del Carnevale locale, Re Bertoldo è una maschera creata ad hoc dagli organizzatori del primo Carnevale istituzionalizzato del 1874, i quali si ispirarono all’omonimo Bertoldo della cultura popolare, personaggio letterario reso celebre all’inizio del XVII secolo dalla penna dello scrittore persicetano Giulio Cesare Croce. Rielaborando il testo di origine medioevale noto come Dialogus Salomonis et Marcolphi, e mescolandovi fonti orali di natura leggendaria legate al paganesimo misterico del mondo agreste, il Croce instilla nella figura di Bertoldo i tratti del trickster, l’inferiore che umilia i superiori, il campione della tautologia assurda e del nonsense sapiente. Tuttavia, in ossequio alla sovversione dei ruoli che è propria del Carnevale, la comunità carnevalesca persicetana, in una sorta di metempsicosi laica e farsesca, trasforma il rozzo villano elevandolo di ceto. Bertoldo cambia abito e diventa un sovrano bonario, dispensatore di consigli paternalistici e amante del buon cibo e delle belle donne. Accompagnato dalla Regina Marcolfa e dal Principe Bertoldino, inaugura i corsi mascherati con la lettura del Discorso della Corona, una zirudèla – componimento dialettale in versi ottonari in rima baciata – attraverso la quale vengono commentati con irriverenza i fatti salienti – locali e non – dell’anno appena trascorso.

Enrico Papa